La fotografia lenta, l’intenzione, la consapevolezza.
Sono per una fotografia lenta.
Mi piace pensare un progetto fotografico o anche una sola immagine.
Per me la fotografia nasce dall’intenzione di raccontare una storia.
Non “scattare” ma “fotografare”. C’è una bella differenza.
Le immagini che si fanno spazio nella nostra vita quotidiana sono quelle legate alla pratica piuttosto che alla memoria o al ricordo. Sono quelle dovute più alla necessità di un consumo immediato del presente che a un momento storico, come succedeva invece con le fotografie inserite nell’album di famiglia. (1)
L’iper-produzione di immagini genera saturazione visiva.
Le immagini che facciamo e vediamo ogni giorno sono così tante da essere destinate a perdere il loro valore e la loro forza.
I dispositivi elettronici sono pieni di immagini, belle, brutte, uniche, inutili, disperse nella memoria digitale e corruttibile dei computer.
Quante, fra queste, sono le fotografie veramente significative, che restano impresse e vivono nella nostra memoria?
Una volta, i nostri nonni andavano dal fotografo per farsi ritrarre in un momento particolare della loro vita, per celebrare un evento: si sceglieva lo sfondo, l’illuminazione, il vestito … si dava la giusta importanza ed attenzione alla costruzione di quella foto che, una volta stampata, sarebbe rimasta, per sempre, a fissare il ricordo di quel momento.
Un investimento di tempo, di energie, di soldi.
Un atto consapevole, però, compiuto con l’intenzione di concedere se stessi alla realizzazione del Ritratto, quello bello, quello da mettere in cornice o nell’album di famiglia, quello che oggi è arrivato a noi e che ci permette, osservandolo ancora e ancora, di “ricordare”, di vagare con la mente, di rievocare …
Una sessione fotografica nel mio studio è ancora questo.
(1) cfr. Don Slater, Domestic Photography and Digital Culture